L'APERTURA DELLA PESCA ALLA TROTA

 

Ogni stagione di pesca si apre sempre sotto il segno dell'incertezza.

A rendere dubbi i risultati sono, innanzitutto, le difficoltà naturali d'origine ambientale. In montagna l'inverno, tutt'altro che finito, con il perdurare delle situazioni locali al limite del proibitivo, è responsabile del rallentamento alimentare e fisico dei salmonidi. A volte capita di imbattersi in giornate più dolci, che fanno presagire l'imminente primavera. Le trote appaiono subito più attive e dinamiche, ma è solo un'eccezione su cui prevale la realtà meteorologica invernale.

La trota, in questo periodo, attraversa un momento particolarmente delicato della sua vita. Ci aspettiamo di trovarla affamata e pronta a ghermire qualsiasi cosa le venga offerta, causa il prolungato digiuno e le energie spese per la riproduzione. Oppure crediamo di sorprenderla indifesa, con la guardia un po' allentata, perché ormai assuefatta al lungo periodo d'inattività, senza la pressione umana.

Tutto ciò potrebbe far pensare a un avversario facile, invece la realtà è ben diversa. Arrendevole e disponibile la trota non lo è mai, tantomeno alla fine dell'inverno. In questo momento denota svogliatezza, stanchezza e pigrizia. Le condizioni circostanti, poi, non la favoriscono certo nella ripresa delle energie e nella crescita. Ne consegue che, anche il suo comportamento nei confronti del cibo sia molto diverso da quello al quale siamo abituati in altre stagioni. L'abboccata, per esempio, è decisamente lenta, caratterizzata da incertezza e titubanza. Un atteggiamento tipico del pesce esitante e circospetto. Un comportamento più "da cavedano", dunque. Perciò il primo errore da evitare è ferrare con troppa fretta.

 

Cosa fare

• Un preventivo elenco degli attrezzi indispensabili, da sistemare nella cassetta o, meglio, nel gilè da pesca.

• Prevedere almeno due itinerari alternativi in una medesima zona di pesca.

• È utile un sopralluogo lungo le sponde di un "nuovo" torrente qualche giorno prima dell'apertura.

• Accertarsi che i lombrichi, o comunque le esche naturali, siano ben efficienti. Tenerle in macchina (non nel baule) durante il viaggio e poi in tasca, al caldo.

• Insistere nelle grandi pozze a maggiore profondità, perlustrando ogni lato, specialmente se siamo arrivati per primi.

 

Cosa non fare 

• Giungere in un luogo mai esplorato in precedenza quando è ancora buio.

• Procedere su neve o ghiaccio senza badare a dove si mettono i piedi.

• Lanciare l'esca a distanza in acque tranquille e calme, provocando il tonfo del piombo.

• Indugiare con la stessa esca quando manca ormai di vitalità. Meglio sostituirla!

• Fare a chi arriva per primo alla "sorgente" se vi sono altri pescatori sul posto.

 

Il bigattino

 

Gli apprezzamenti di critica e di elogio su questa esca si sprecano. L'opinione dei pescatori a riguardo del bigattino è divisa in due fazioni. C'è chi condanna questa esca, ritenendola colpevole di danni irreparabili al patrimonio naturale e c'è chi è convinto che tale esca non arrechi nessun danno fisico ai pesci che di tale esca si sono cibati. L'accusa che viene mossa dalla fazione antibigattino è quella che la larva sfondi lo stomaco dei pesci con la loro conseguente morte. Milioni di pesci, delle specie più disparate dovrebbero allora morire, parti di essi dovrebbero essere presenti sulle sponde dei fiumi dove, da decine di anni i pescatori impiegano questa esca. Sinceramente non mi è stato dato di vedere tale spettacolo. Gli unici pesci morti che ho potuto vedere sulle rive dei laghi, dei fiumi e sulle spiagge del mare sono quelli che hanno avuto a che fare con un inquinamento indiscriminato ed una conseguente contaminazione dell'acqua dovuta a sostanze venefiche o alle varie tecniche di pesca di frodo. Non ho mai portato a casa pesci «sforacchiati» da bigattini. Il bigattino, una volta ingerito, viene frantumato prima dall'apparato boccale, subito dopo dai muscoli della gola, infine viene aggredito dai succhi gastrici dello stomaco. Se i pesci riescono a digerire ed in seguito ad evacuare spine di riccio di mare, corazze di crostacei (in alcuni casi piuttosto dure come nel caso dei granchi) spine di pesci, gusci di bivalvi, non vedo come non possano fare altrettanto con una esca molle come il bigattino. Polemica a parte, il bigattino è entrato in pieno, specialmente nella costa toscana e laziale, come esca nella pesca in mare. In moltissimi casi ha soppiantato, in modo quasi totale, tutte le altre esche impiegate nella pesca di superficie. Le prede che gradiscono il bigattino sono soprattutto i saraghi, le spigole, i cefali e le occhiate. Si verificano poi catture eccezionali di qualsiasi specie ittica insidiabile pescando in superficie, con l'impiego cioè di una lenza montata con il galleggiante: boghe, sugarelli, lanute ecc. Le condizioni ideali di impiego si presentano con mare leggermente agitato, sulla scaduta delle mareggiate oppure durante le ore notturne anche con il mare calmo. Possiamo usare questa esca anche come pastura, anzi dobbiamo, poiché il potere attirante del bigattino è veramente micidiale. La pastura a base di bigattini può essere potenziata impiegando della semola, del pane bagnato e macinato, della sarda macinata, il tutto mescolato in un impasto a cui avremo dato la consistenza voluta a seconda delle necessità di pesca. Innescando bigattini la lenza dovrà essere piuttosto leggera. Potremo impiegare le montature a noi più congeniali, tenendo però sempre conto che il bigattino, per funzionare a dovere, dovrà essere innescato e presentato nella maniera più naturale possibile. La scelta del monofilo e di tutta l'attrezzatura dovrà essere fatta con oculatezza, mi spiego meglio: dovremo impiegare un buon mulinello con frizione molto dolce e graduale. Il filo che dovremo montare in bobina non dovrà essere superiore allo 0,20 ed in alcuni casi dovrà essere anche inferiore, fino a raggiungere lo 0,12; tutto questo perché in alcuni casi saremo costretti ad impiegare monofili di diam. 0,10-0,08, come finali di lenza. Le piombature più impiegate sono generalmente quelle così dette a scalare, con il maggior peso distribuito nella parte alta della lenza e l'ultimo pallino ad una certa distanza dall'amo, tale distanza potrà anche raggiungere i due metri. Filo sottile e piombatura leggera, come di­cevo, sono spesso fondamentali per la buona riuscita di una battuta di pesca, tutte le eccezioni non fanno altro che confermare questa regola ed a mio avviso debbono considerarsi proprio come eccezioni. Possiamo aumentare il diametro del finale nel caso si peschi di notte oppure in presenza di pesci di taglia che non si curino troppo della grossezza del monofilo (rari casi) pescando con finali dello 0,18-0,20. Il corretto innesco dei bigattini si ha: 1) innescando un solo bigattino su ami piccoli del n° 16-20 soltanto per la coda, appuntato a fior di pelle; 2) con 2-3 o più bigattini montati su ami dal n° 15 al n° 10, facendone scorrere uno lungo il gambo dell'amo ed i rimanenti infilati per la coda. La scelta degli ami deve cadere su quelli con punta ad alta penetrazione e di gambo sottile, per non rovinare l'esca nella fase di penetrazione.

 

 

Come procurarci i bigattini e come conservarli

 

I bigattini sono larve di mosca carnaria. Le mosche depongono le loro uova su carni in putrefazione ed il sistema più logico per procurarceli è quello di acquistarli: cercare di «allevarli» in giardino sarebbe micidiale. I bigattini vanno conservati al fresco, possibilmente in un frigorifero (l'ideale sarebbe avere un frigo proprio per conservare le esche e le pasture) dove il loro movimento viene inibito dal freddo e lo sfregamento l'uno con l'altro non provoca il calore, che nel giro di pochissimi giorni causerebbe la loro trasformazione in mosche. Il contenitore ideale è una scatola di plastica sul coperchio della quale avremo fatto molti forellini che permettono ai bachini di respirare ma non di uscire per non doversi poi ritrovare a pulire l'intero frigo. A bassa temperatura possiamo mantenerli in vita, in ottime condizioni, per diversi giorni.     

 


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